Intervento di apertura del Cardinale Pietro Parolin alla Conferenza Internazionale «Verso una teologia della Speranza per e dall’Ucraina»

Intervento di apertura del Cardinale Pietro Parolin alla Conferenza Internazionale «Verso una teologia della Speranza per e dall’Ucraina»

23 maggio 2025, 15:39 16

Beatitudine, Eminenza, Eccellenze,
Reverendi sacerdoti, Religiosi e Religiose,
gentili Signori e Signore, cari amici,

Sono lieto di essere qui con tutti voi che partecipate a questa Conferenza Internazionale, dal titolo: Verso una teologia della Speranza per e dall’Ucraina. Vi porto il saluto affettuoso e benedicente del Santo Padre Leone XIV, che segue con viva attenzione lo svolgersi di questo evento e il cammino della Chiesa in Ucraina, specialmente in questi tempi tanto dolorosi quanto carichi di testimonianze di fede.

Nel suo appello durante la preghiera del Regina Caeli, Papa Leone XIV ha detto parole toccanti: «Porto nel mio cuore le sofferenze dell’amato popolo ucraino». Un grido del cuore che si fa supplica ai potenti della terra: «Si faccia il possibile per giungere al più presto a una pace autentica, giusta e duratura. Siano liberati tutti i prigionieri e i bambini possano tornare alle proprie famiglie».

Questo appello si inserisce in una continuità spirituale e pastorale con il compianto Papa Francesco, il cui pontificato è stato segnato fin dall’inizio da un’invocazione instancabile per la pace in Ucraina. Anche lui affermò più volte con commozione: «L’Ucraina è nel mio cuore». Come certo ricorderemo, in occasione dell’incontro con la Curia romana del dicembre 2022, Papa Francesco disse: «Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra in Ucraina è una delle più grandi crudeltà che il nostro tempo abbia conosciuto». Ed ha aggiunto, con la sua solita franchezza: «In questo tempo difficile, la speranza non delude se è speranza in Dio e non nelle armi».

Due Papi, due voci, un’unica compassione evangelica. Leone XIV e Francesco, pur in tempi diversi, hanno tracciato insieme una via: quella della speranza che nasce dal dolore, della pace che si costruisce con la verità, della fede che non si arrende alla logica della guerra.

È in questa luce che possiamo parlare di una teologia della speranza per l’Ucraina: una riflessione che non nasce nei libri, ma nel cuore della sofferenza. Ma anche di una teologia della speranza dall’Ucraina, perché è da quel popolo che ci giunge una testimonianza viva: la fede può resistere sotto le macerie, la speranza può fiorire anche nella notte.

Desidero esprimere la mia gratitudine a Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk per l’invito ed anche per la tenacia pastorale con cui guida l’ampio e fervente gregge affidatogli; all’Università Cattolica Ucraina, alla Pontificia Università Gregoriana, all’Università di Notre Dame e a tutti coloro che hanno reso possibile questa iniziativa. Il tema che ci riunisce, Verso una teologia della speranza per e dall’Ucraina, è di straordinaria attualità e portata profetica.

Siamo chiamati a riflettere non su una speranza generica o disincarnata, ma su una speranza cristiana che nasce dal Crocifisso Risorto. Una speranza che, come ha scritto Papa Francesco nel suo libro La speranza non delude mai. Pellegrini verso un mondo migliore, è virtù umile e tenace, è forza che sostiene nel cammino, è luce che non si spegne anche nelle notti più oscure. Oggi, l’Ucraina vive una notte dolorosa. Ma in questa notte, la Chiesa continua a vegliare. E vegliando, spera. E sperando, testimonia.

1. L’Ucraina come terra di speranza ferita

Dal febbraio 2022, la guerra in Ucraina ha seminato morte e distruzione, provocando milioni di sfollati, migliaia di vittime civili, un profondo trauma nazionale. Intere città sono diventate simboli del dolore umano e delle aberrazioni della violenza. Eppure, in questi luoghi, la fede non è morta. Anzi, ha trovato nuove espressioni. Le immagini di celebrazioni liturgiche in rifugi antiaerei, di processioni con icone tra le macerie, di giovani che pregano il Rosario in trincea, di cittadini inginocchiati in raccoglimento orante lungo le strade per dare l’ultimo saluto ai soldati caduti, ci ricordano che la speranza cristiana è già resurrezione seminata nei sepolcri della storia.

Papa Francesco, nel suo discorso alla Curia del dicembre 2023, ha detto: «Nella sofferenza del popolo ucraino vedo il seme di una nuova primavera spirituale. Quella fede provata è più luminosa, quella speranza ferita è più vera, quella carità vissuta è più evangelica».

La resistenza ucraina non è solo militare o politica. È anche spirituale. È la resistenza di un popolo che non rinuncia alla dignità, alla fede, alla libertà. In questo senso, possiamo affermare con convinzione che la speranza in Ucraina ha assunto oggi una forma di martirio silenzioso, di testimonianza concreta della fede nel quotidiano, segnato da un dolore inesprimibile.

Questa Conferenza nasce da una ferita aperta. L’Ucraina è oggi emblema di una speranza sottoposta alla prova più dura: la guerra, la perdita, la separazione, il pianto, la morte. E tuttavia, proprio da questa terra martoriata, s’innalza un grido che interpella la teologia: può la speranza cristiana farsi carne, storia, cammino verso un futuro luminoso e, in definitiva — verso la pace? Può dire qualcosa di vero a un popolo costretto a vivere la sua quarta Pasqua sotto le bombe, nell’esilio, tra le lacrime, tra le macerie?

In questo percorso, lasciamoci guidare dalle parole di Papa Francesco nella Bolla Spes non confundit, nel suo recente libro La speranza non delude mai: Pellegrini verso un mondo migliore (Piemme 2024). Il compianto Pontefice ci ha offerto una bussola preziosa, indicando la speranza non come un’illusione astratta, ma come una virtù concreta che ci spinge all’azione, radicata nella fede in Dio e nel desiderio di costruire un futuro di pace e di giustizia.

2. La speranza come «porta» per un cammino di fede

La Bolla Spes non confundit, ci invita a rileggere la speranza come «porta» (cfr. Gv 10,7.9). Ebbene, quale immagine è più potente, oggi, se non quella di una porta che si apre verso un futuro sereno e libero dalla guerra, una porta che non è solo simbolo, ma atto concreto di chi vuol vedere oltre la tragica realtà.

In tale contesto, vorrei citare la famosa poetessa ucraina Lesja Ukrainka, che nel lontano 1890, ha scritto una poesia, si potrebbe anche dire, profetica, dal titolo eloquente Contra spem spero:

«Via, pensieri, voi, nubi autunnali! Ora è la primavera dorata!
Forse nel dolore, nel lamento passeranno gli anni della giovinezza?
No, voglio ridere attraverso le lacrime, intonare canzoni nel dolore,
Sperare comunque senza speranze,
Voglio vivere! Via, pensieri tristi!»

Le Chiese e le Comunità ecclesiali d’Ucraina — cattoliche, ortodosse, protestanti — sono chiamate non solo a varcare la Porta Santa del Giubileo, ma a diventare esse stesse «porte» aperte all’amore di Dio, fiaccole di speranza in mezzo al buio. Non è retorica, è missione.

L’Ucraina sta vivendo una delle prove più dure della sua storia recente. La guerra, la sofferenza e le ferite dell’ingiustizia pongono domande profonde sulla possibilità stessa della speranza. Eppure, proprio nei momenti più bui, la speranza cristiana si manifesta come una forza sorprendente. Infatti, la speranza è «la capacità di vedere oltre l’oscurità, di riconoscere in ogni ferita la possibilità della risurrezione» (Papa Francesco). Questa speranza non nasce dal semplice desiderio umano, ma dalla certezza che Dio è presente nella storia e che il bene avrà l’ultima parola.

Nel cuore del Vangelo troviamo tale certezza: Cristo, crocifisso e risorto, è la nostra speranza. San Paolo ci dice nella Lettera ai Romani: «La speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo» (Rm 5,5). Questa è la speranza che ci anima oggi: una speranza che non si arrende, che non si lascia schiacciare dalla paura, che continua a credere.

3. Il compito della Chiesa: accompagnare, consolare, costruire

La Chiesa in Ucraina è chiamata oggi a una triplice missione: accompagnare il popolo, fasciare i cuori feriti, costruire un futuro. E lo fa meticolosamente, ogni giorno, attraverso la testimonianza dei suoi vescovi, sacerdoti, religiosi, e soprattutto dei laici impegnati.

Le parrocchie diventano centri di accoglienza e di distribuzione di aiuti. Le comunità religiose ospitano sfollati e curano feriti. I giovani si impegnano nel volontariato e nella solidarietà. La carità è diventata la forma concreta della speranza.

Tuttavia, accanto all’urgenza umanitaria, c’è un’urgenza spirituale: aiutare le persone a non cedere all’odio, a non cedere alla vendetta, a non cedere alla disperazione. La speranza cristiana è sempre orientata verso la riconciliazione. E questa richiede un lungo e serio cammino di verità, di memoria, di guarigione.

Nell’enciclica Fratelli Tutti leggiamo che «non c’è pace senza memoria» e che «la riconciliazione è possibile solo dove c’è verità e perdono» (Fratelli Tutti, 226–230). Una teologia della speranza deve quindi articolarsi anche come teologia della riconciliazione, come via di purificazione della memoria e di apertura all’altro. Non possiamo predicare il Vangelo se non testimoniamo la capacità di perdonare, di accogliere, di costruire ponti.

4. L’Ucraina come testimone di speranza e riconciliazione: lo Spirito che non abbandona

San Paolo ci ricorda che è lo Spirito Santo a mantenere accesa la speranza come una fiaccola (Rm 8, 35–39). In Ucraina, lo Spirito del Signore non ha cessato di soffiare: nei volontari che salvano vite, nei sacerdoti che rimangono con il popolo, nei genitori che insegnano ai figli a non odiare.

La teologia della speranza non può dunque essere solo analisi o consolazione spirituale. Deve diventare ascolto dello Spirito che parla nella carne ferita dei popoli. Una teologia che non parte dai libri ma dai volti.

Se guardiamo alla storia dell’Ucraina, vediamo un popolo che ha sempre saputo rialzarsi dopo ogni prova. La sua cultura, la sua fede, la sua tradizione spirituale sono testimonianze viventi della forza della speranza. Oggi più che mai, il mondo guarda all’Ucraina non solo come a una Nazione ferita e umiliata, ma come a un popolo che, nella sofferenza, continua a testimoniare la dignità della persona umana, il valore della libertà e l’amore per la Patria.

Questa testimonianza interpella tutti noi. Non possiamo rimanere spettatori passivi. La speranza cristiana è missionaria: ci chiama a costruire ponti, a sostenere chi soffre, a lavorare per la giustizia, per la pace e per la riconciliazione, perché «nessuno si salva da solo» (Papa Francesco).

5. L’universalità della speranza: Roma e Kyiv unite verso una teologia della speranza

La domanda che ci poniamo in questa Conferenza è profonda: quale teologia della speranza possiamo sviluppare per e dall’Ucraina? La risposta non è solo teorica, ma esistenziale. Una teologia della speranza deve nascere dall’ascolto della realtà, dalla voce di chi soffre, dalla testimonianza della Chiesa in Ucraina che continua a essere un segno di fede nel mezzo della prova.

In questo senso, la teologia non è un esercizio astratto e teorico, ma un cammino spirituale e comunitario. Dobbiamo riscoprire una speranza che non sia ingenua, ma profondamente radicata nella realtà. Una speranza che sappia dialogare con il dolore, che non si chiuda in facili ottimismi, ma che si nutra della Parola di Dio e della forza dello Spirito Santo.

L’invito del Giubileo di speranza si estende a tutte le Chiese particolari, comprese quelle in Ucraina, che forse oggi sono le più simboliche. Perché, «la speranza non illude e non delude, perché è fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore di Dio» (Bolla Spes non confundit). Né la guerra. Né l’odio. Né la distanza.

Siamo invitati ad essere «pellegrini della speranza «. Questo significa camminare insieme, senza illusione, ma anche senza rassegnazione. Significa avere lo sguardo rivolto verso il Regno, ma con i piedi ben piantati nella storia.

6. Dalla teologia della speranza… a una speranza teologica

Non si tratta solo di costruire una «teologia della speranza» . Dobbiamo lasciarci plasmare da una «speranza che è essa stessa teologia», cioè rivelazione del volto di Dio. In Ucraina, ogni espressione della bontà umana, ogni gesto di fedeltà, ogni preghiera nel buio, ogni scelta di pace è già un atto teologico. È annuncio del Cristo risorto che, passato per la stretta via della morte, attraversa le porte chiuse e dice: «Pace a voi» (Gv 20,19).

«La speranza è un dono da condividere» e che «chi spera non lo fa mai da solo» (La speranza non delude mai, p. 103).

L’Ucraina può offrire alla teologia universale una nuova grammatica della speranza: una grammatica che nasce dall’oriente cristiano, che si nutre di liturgia, passa per la memoria dei martiri, e si esprime nella fedeltà quotidiana del popolo al Signore.

7. Maria, Madre della speranza: icona del popolo credente

Nel cuore della spiritualità ucraina, Maria occupa un posto centrale. La Vergine Orante della Cattedrale di Santa Sofia a Kyiv è una delle immagini più potenti della speranza che non si stanca di pregare. Le braccia alzate, il volto sereno, la posizione immobile nel tempo: Maria intercede. Maria custodisce. Maria è presenza fedele.

Durante la guerra, migliaia di famiglie ucraine si sono rivolte a Maria. In lei hanno trovato conforto, protezione, forza. I pellegrinaggi ai santuari mariani, le icone portate nelle zone di conflitto, i canti mariani tramandati da generazioni: tutto questo costituisce un patrimonio spirituale che è anche un tesoro teologico.

Una teologia mariana della speranza ci insegna che la speranza non è gridata, ma sussurrata. Non è conquista, ma affidamento. Maria non offre soluzioni, ma offre se stessa. E proprio in questo gesto radicale di disponibilità, essa diventa Madre della speranza.

Conclusione:

Cari Fratelli e Sorelle, la speranza cristiana non è un lusso per i tempi tranquilli. È un’urgenza per i tempi feriti. L’Ucraina oggi ci chiede non solo di parlare di speranza, ma di imparare da essa come si spera. Nelle trincee, tra le macerie, nei numerosi cimiteri nuovi, sotto la croce, ma con lo sguardo fisso al cielo.

L’Ucraina ha bisogno di una speranza che non venga dall’esterno come discorso salvifico, ma che nasca «dall’interno’, come seme. In questo, la Chiesa — universale e locale — è chiamata a un compito nobile: custodire il mistero di una speranza che abita nel dolore, senza rassegnarsi al cinismo del mondo.

Lasciamoci ispirare dalle parole di Papa Leone XIV: «Chiediamo al Padre celeste di essere gli uni per gli altri, ciascuno in base al proprio stato, […], capaci di aiutarci a vicenda a camminare nell’amore e nella verità. E ai giovani dico: ”Non abbiate paura!”». L’Ucraina ci insegna proprio questo: che anche nel dolore, nella perdita e nella fatica, siamo nelle mani del nostro Padre Celeste, che non abbondona mai i suoi figli e continua a guidarli verso un futuro di luce e di vita.

Che questa conferenza sia un momento di riflessione, ma soprattutto di impegno. Perché, come ci ricorda San Paolo: «la speranza non delude mai». Grazie.

Card. Pietro PAROLIN
Segretario di Stato della Santa Sede


Altri discorsi