Sua Beatitudine Sviatoslav in un’intervista per Avvenire: «Papa Leone porterà la pace nel mondo. E in Ucraina»

Sua Beatitudine Sviatoslav in un’intervista per Avvenire: «Papa Leone porterà la pace nel mondo. E in Ucraina»

20 maggio 2025, 11:22 6

Gli appelli alla pace che segnano le prime giornate di Leone XIV. Il richiamo «all’amato popolo ucraino» durante il Regina Coeli di domenica scorsa. La telefonata fra il Papa e il presidente Volodymyr Zelensky. L’udienza ai pellegrini delle Chiese orientali arrivati per l’Anno Santo dove era presente una nutrita delegazione del Paese aggredito dalla Russia. L’udienza privata al Сapo e Padre della Chiesa greco-cattolica ucraina, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk.

«La nostra gente acclama già papa Leone come il Papa della pace. E io sono convinto che il suo sarà un pontificato che costruirà la pace. Con un approccio sereno e metodico», racconta l’Arcivescovo Maggiore. È ancora a Roma dopo le due giornate dedicate alla guerra in Ucraina ospitate dalla Pontificia Università Gregoriana e l’Università di Notre Dame. E giovedì è stato uno dei primi ecclesiastici ad avere avuto un faccia a faccia ufficiale con il nuovo Papa.

«Un’udienza provvidenziale perché avvenuta mentre si aprivano i colloqui a Istanbul, con cui Leone ha voluto di nuovo attirare l’attenzione del mondo sulla tragedia che siamo vivendo», afferma Sua Beatitudine Sviatoslav in una conversazione con Avvenire e il Sir. E al Papa l’Arcivescovo Maggiore ha consegnato una lista di nomi da liberare, ricorrendo a quel canale di «diplomazia umanitaria» che fa dialogare Kyiv e Mosca e che è alimentato dalla segreteria di Stato, dalla rete delle nunziature e dalla missione del cardinale Matteo Zuppi. «Ho spiegato a papa Leone che, ovunque io vado, le persone mi affidano gli elenchi con le storie dei loro familiari dispersi o catturati. Così nelle mani del Papa ho consegnato 500 di questi nomi. Lui li ha scorsi con diligenza e ha guardato i volti che li accompagnavano. Poi mi ha detto: sì, faremo tutto il possibile per riportarli a casa e per favorire occasioni di dialogo che possano fermare la guerra».

Il presidente Zelensky che oggi sarà presente alla Messa di inizio pontificato ha già invitato Leone XIV in Ucraina. Ci sono possibilità?

«Anche io ho invitato il Papa facendomi interprete delle attese del popolo ucraino. Al Papa ho riferito un pensiero che prevale nell’opinione pubblica: la gente ritiene che, se il Pontefice visiterà il nostro Paese, la guerra si fermerà. Leone ha ascoltato meravigliato. Non sarebbe una visita politica. Sebbene potrà avere anche una dimensione simile, si tratterebbe soprattutto di un pellegrinaggio: il Papa pellegrino della pace e della speranza in una nazione martoriata. Ipotizzare modalità, tempi, luoghi è ancora prematuro. Però, non appena il Pontefice ci darà una risposta, ci metteremo subito al lavoro».

Quale impressione di Leone XIV nell’udienza privata?

«Ho trovato un Pontefice che non solo parla di pace, ma trasmette pace. Perché la porta con sé. Poi è un Papa che ascolta: ad esempio, quando gli ho descritto che siamo una Chiesa che vive in mezzo alle sofferenze del proprio popolo, che fascia le ferite. Mettiamo in atto quella che ormai chiamiamo la ”pastorale del lutto”. Perché non c’è famiglia oggi in Ucraina che non piange la morte del proprio figlio, marito, fratello o che non viva l’ansia di non sapere dove sta».

Papa Leone XIV invoca la pace. Quale significato per l’Ucraina?

«Quando si è affacciato dalla Loggia delle benedizioni dopo la sua elezione, ha esordito con la frase ”La pace sia con voi” dando voce a un desiderio che ha l’intera Ucraina. Poi ha fatto riferimento alla pace in ogni suo intervento successivo. Tutti noi ci siamo chiesti quale pace intendesse Leone. Infatti ormai il vocabolo ”pace” ha perso il suo significato reale. Se guardo al nostro Paese, una parte del consesso internazionale fa coincidere il termine ”pace” con la resa incondizionata all’aggressore. Invece, nel discorso al corpo diplomatico, Leone XIV ha chiarito che serve una pace positiva. Perché, ha specificato, la pace non è tregua dove basta una scintilla per far riesplodere tutto, come pensa l’Ucraina in caso di congelamento del conflitto. Invece la pace, che è dono di Dio, va collegata con la giustizia. Ed è ciò che il nostro Paese ha gridato dall’inizio dell’invasione su vasta scala. E la pace non può essere disgiunta dalla verità. Altrimenti diventa una pace tradita o menzognera. Il male va chiamato per nome e nessuno può costringerci a un accordo immediato con il nemico. Infine la pace rimanda alla dignità. Mentre a Istanbul si incontrano le delegazioni di Kyiv e Mosca, noi ci domandiamo: quando potremo vivere degnamente?».

Ha fiducia nei tentativi negoziali?

«Mi affido alle parole di papa Leone: è l’ora della diplomazia. L’unica alternativa allo scontro armato è il dialogo. Il Papa lo sta incoraggiando. Dopo tre anni di guerra, assistiamo a una pressione internazionale e diplomatica che non avevamo mai visto in precedenza per fermare l’aggressione: questo è molto positivo. Tuttavia, come dimostra ciò che accade in Turchia dove Mosca ha inviato rappresentanti di terz’ordine, la Russia non ha alcuna intenzione di far tacere le armi e quindi di volere la pace».

Papa Leone XIV ha detto che la Santa Sede intende essere uno spazio di confronto fra nemici. Può valere anche per il conflitto in Ucraina?

«Un incontro storico e commovente c’è già stato: quello fra il nostro presidente e il presidente statunitense Donald Trump nel giorno del funerale di papa Francesco vicino alla tomba di San Pietro. La Basilica Vaticana è diventata davvero un luogo di incontro. Papa Leone ha rilanciato questa prospettiva ribadendo che la Santa Sede è uno spazio neutrale per dialogare e negoziare».

Viene dato per scontato che i territori ucraini occupati dalla Russia restino sotto il controllo del Cremlino dopo un eventuale cessate il fuoco. Come si vive questa prospettiva?

«Fin dalla sua elezione, il presidente Trump ha intimato all’Ucraina di essere realista, di accettare quanto accade sul campo, di cedere una parte delle sue terre: non solo la Crimea, ma anche le quattro regioni di Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson che, benché non del tutto conquistate, la Russia considera già annesse. Ma né Trump, né molti altri si sono mai chiesti: e le persone? Che ne sarà degli ucraini di quelle regioni? Perché la Russia non ha mai considerato la gente dell’Ucraina un popolo con la sua storia, la sua lingua, la sua cultura, la sua vita religiosa. Chi tutelerà la nostra gente nelle zone occupate dove tutto viene russificato? Chi garantirà la libertà e l’incolumità di chi è rimasto? Si discute di terre rare o di aree occupate, ma non del fattore umano. Si tratta di mettere al centro dei tavoli negoziali una pace degna e il rispetto dei diritti umani. Incontrando il Papa, ho detto che è giunto il momento di ”depoliticizzare” la guerra in Ucraina. I potenti del mondo ritengono la nostra sofferenza un gioco politico per alimentare fobie o egoismi nazionali».

Il Papa ha parlato di Chiese martiri. Quella greco-cattolica è stata messa al bando dalla Russia nei territori occupati. Chiesa martire anche la vostra?

«Noi siamo i primi testimoni di come la Russia concepisca la libertà religiosa. Più di cento parrocchie sono state distrutte. La chiesa di Berdyansk è stata messa in vendita. La storia ci dice che, ogni volta che la Russia occupava una parte di Ucraina, ha sempre eliminato la nostra Chiesa. Ma, provvidenzialmente, dopo ciascuna aggressione, siamo risorti. E non dimentichiamo che il martire è il testimone. Ecco, siamo una Chiesa che mostra Cristo in un tempo drammatico dove vita e morte si fronteggiano».

Dopo oltre tre anni di guerra, qual è la situazione del Paese?

«Ogni volta che sono in agenda iniziative diplomatiche, i bombardamenti si intensificano. La Russia si accanisce, quasi a voler accrescere la sua posizione al tavolo negoziale. La crisi umanitaria si fa sempre più preoccupante. Abbiamo nuove evacuazioni forzate dalle aree dove si assiste a un’escalation degli attacchi: da Sumy a Kharkiv, da Dnipro a Zaporizhzhia. Quindi nuovi sfollati e ulteriore distruzione di villaggi. Mi domando: quanto resisteremo? Anche perché registriamo un calo spaventoso degli aiuti umanitari. E ci preoccupa la decisione degli Stati Uniti di chiudere l’agenzia UsAid che gestiva il 41 % degli aiuti nel mondo: anche la nostra Caritas ne ha risentito. Fino a oggi non siamo alla tragedia umanitaria. Però siamo al limite delle nostre possibilità.

Fonte: Avvenire


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